
Per centotredici minuti Michael Haneke schiaccia lo spettatore sotto il peso delle proprie fobie. Immaginatevi di svegliarvi domani mattina e di ritrovarvi in un mondo distrutto dove solo il più cattivo di tutti riesce a sopravvivere. Cosa fareste? Continuare a vivere sapendo di diventare esseri cattivi, lupi, per se stessi e per gli altri, o lanciarsi nudi nel fuoco come a voler cancellare tutte le proprie colpe?
"Il Tempo dei Lupi" è un film glaciale e depravato. La sua depravazione si gioca tutto sul non sapere, sul non mostrare, sull'isolare. I personaggi sono tutti isolati tra loro. Pur interagendo sono assolutamente separati, pur riuscendo ad essere ancora empatici provano compassione per il proprio prossimo in maniera razionale, mai solo dettata dal sentimento. In un mondo trasformato dove la vita stessa si basa sul massacro, non viene mostrata nessuna uccisione. Haneke si diverte a non farci sapere, a far cominciare questo film senza un motivo e a farlo finire senza alcuna motivazione. Si diverte a prendere i tratti caratteristici di questo mondo e a criticarli duramente trasformandoli in qualcosa di "non ora, non qui". Mette la pulce all'orecchio e poi ti rassicura trasportandola in un mondo diverso. Ti inquisisce e poi ti solleva con un "tu non c'entri". Haneke con questo film ha investigato e ci lascia l'idea d'aver solo immaginato.
Secoli di Diritto Naturale lasciato a macerare. L'unico diritto valido è quello terreno, quello che crea la realtà. Se ci affidiamo al libero arbitrio altrui, alla comune pulsione verso il bene, alla naturale solidarietà del singolo verso il tutto, alla ragion pura... be', il vostro cranio diventerà presto un posacenere.
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